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venerdì 20 agosto 2010

La lezione di storia

Venne sera. Uscirono di casa e si diressero verso l'ultimo cancello della città. Le strade erano silenziose e vuote, a parte pochi soldati che si attardavano sugli usci delle loro casupole, a scambiare qualche parola cortese o a vantarsi di imprese tanto grandi quanto fantasiose. La quiete era interrotta di tanto in tanto dal canto sgangherato di un soldato ubriaco, di ritorno dall'osteria. Le sue canzoni oscene erano inframmezzate da presagi di sventura, ma una sventura lontana ed opaca, resa distante dalla birra.

Giunsero al cancello, preceduti da un gatto curioso. Aleski non era mai giunto fin lì durante le sue peregrinazioni annoiate e rimase attonito quando vide la maestosità dei battenti. Erano altissimi, costruiti con legno completamente intagliato in forme e figure mitologiche. Ovunque si volgesse lo sguardo esso veniva rapito dalla magnificenza della narrazione. In un angolo un drago veniva trafitto dalla lancia di un cavaliere. Raggi di sole si rifrangono sull'armatura dell'uomo, spruzzi di sangue sgorgavano dalla ferita del mostro, ricadevano a terra ed incenerivano tutto ciò che toccavano. Poco più in là il rivolo putrescente mutava in un ruscello non più mortifero, ma fresco e gioioso. Le acque scorrevano in un bosco rigogliante di vita: daini, cervi, capretti e lepri correvano tutt'intorno per raggiungere una pozza cristallina. Una giovane ninfa emergeva dalla pozza e prendeva delicatamente tra le mani il volto di un giovane dallo sguardo estasiato, desideroso di un bacio, troppo avventato nella sua tenera età per accorgersi che alle sue spalle un satiro lo osservava pieno di gelosia.
E ancora scene di vita campestre, con i contadini concentrati nel loro lavoro, i muscoli tesi e guizzanti nel sollevare balle di fieno, troppo intenti a roteare le falci e mietere il grano per accorgersi che due giovinetti erano sfuggiti ai loro doveri e si erano andati a riparare dalla calura sotto le fronde di un grosso salice. Oltre la collina sulla quale cresceva l'albero era in corso una battaglia, fermata nel legno nel preciso istante in cui i due eserciti cozzavano tra loro. Le spade dei due re avversari erano le uniche ad incrociarsi, e sarebbero rimaste così in eterno, congelate nella promessa di una guerra violenta.
Più in alto la vista di Aleski non riusciva ad andare, ma gli parve di distinguere una corte in festa, una caccia alla volpe, delle navi in tempesta e prove ginniche.
Ai lati dei due battenti, altrettante statue alte più di tre metri sorvegliavano l'ingresso: erano le figure di due uomini dalle folte barbe e le vesti lunghe fino a terra. Quello di destra reggeva nelle mani un libro, sul quale il gatto che aveva seguito Ollerus ed Aleski fin lì si era accoccolato dopo averlo raggiunto con due agili balzi, non preoccupandosi per nulla dello sguardo accigliato e minaccioso della statua. Quello di sinistra invece impugnava una spada, ma anche se il volto era atteggiato in una maschera di serietà, gli occhi sembravano quasi sorridere ed invitare gli ospiti ad entrare.
Ollerus annunciò la loro presenza a gran voce e dopo qualche minuto un forte rumore precedette l'apertura del battente di sinistra. Si socchiuse quanto bastava per far entrare i due uomini, che si affrettarono a varcare il portale con Ollerus in testa, elegante nella sua armatura più bella, lucidata per l'occasione. Aleski fu grato ad Ollerus per averlo costretto a dismettere il comodo mantello nero che tanto aveva imparato ad apprezzare. Il cacciatore era stato fuori casa tutta la mattinata, ed al suo rientro portava con sé dei vestiti nuovi per Aleski. Erano calzoni leggeri e larghi, una bellissima tunica argentata da fissare in vita con una cintura di cuoio e pratici stivaletti con la suola rinforzata. C'era inoltre un mantello corto, di una leggera stoffa verde con ricami dorati che descrivevano graziose spirali.
-Prendi anche questo.- Gli aveva detto Ollerus, porgendogli un fodero grezzo che conteneva un pugnale ben più prezioso. La lama era lucente, perfettamente affilata, e portava incise delle lettere che Aleski non riconobbe. L'elsa era formata da strisce di cuoio intrecciate, di colore blu e oro. Aleski non aveva parole per ringraziare il cacciatore.
-Era mio, un tempo. Forse ti aiuterà a sentirti meno fuori posto.-
Aleski aveva impungato il coltello, ne aveva saggiato il peso. Subito aveva sentito dentro di sè un senso di sicurezza che non aveva mai provato, e ne era rimasto spaventato. Quell'oggetto era stato creato per uccidere.
Ora, avvicinandosi al palazzo nel silenzio del cortile interno, rimise la mano sull'elsa nella speranza di ritrovare quella sensazione e di placare il suo cuore, che dall'ansia gli era salito in gola. La ruvidezza dell'elsa e la concretezza delle decorazioni lo calmarono un poco, ma non abbastanza. Il cortile era tetro, colmo di erbacce e siepi essicate. A fatica si riconosceva la bellezza che un tempo lo rendeva un luogo di pace e tranquillità. Ma erano altri tempi, tempi in cui Caer Ydalir non era un rifugio per sfollati, ma una cittadella rigogliosa, con le strade che accoglievano i mercanti venuti dal mare che si stendeva sterminato poche miglia a sud. Tempi in cui non serebbe servito ad un cavaliere una parola d'ordine per entrare a palazzo.
-Fridor.- Esclamò Ollerus, e le porte gli vennero aperte. Fu così che Alessio Lupi per la prima volta in vita sua si trovò a camminare per i corridoi di un palazzo reale. Di sicuro non fu come se l'era sempre immaginato da bambino. Non c'erano lunghi ed ampi saloni con file di armature in bella mostra, né grandi vetrate ad illuminare alti soffitti. C'erano invece corridoi bassi e scuri, con poche fiaccole poste ad indicare il cammino. Tante piccole porte di legno si affacciavano lungo le pareti, ed ogni porta si apriva su una scala o su un nuovo corridoio del tutto identico a quello precedente. Un labirinto angusto e claustrofobico, adatto a difendere un re.
Ben presto Aleski perse l'orientamento. Fece per chiedere ad Ollerus se si erano persi, ma proprio in quel momento il cacciatore si fermò di fronte ad una porta un po' più grande delle altre, e l'aprì. Oltre la porta c'era una sala grande e spaziosa, con un bel soffitto dalla volta a botte. Al centro gorgogliava una fontana di pietra e lungo le pareti erano disposte tante piccole panche, anch'esse di pietra. Ma il vero ornamento erano le pareti stesse, affrescate fino al soffitto.
Dapprima Aleski fu attirato proprio dalla volta, dipinta con maestria in modo da dare l'illusione di un cielo azzurro d'estate, con il sole nel centro e le nuvole a sbuffi che si allontanavano in cerchi concentrici. Sembrava così vero che il giovane si aspettava da un momento all'altro di veder passare uno stormo in volo.
-Aleski.- Il sogno ad occhi aperti venne interrotto dalla voce di Ollerus.
-Sì?
-Devo assentarmi per un po'. Questioni burocratiche.
-Capisco.
-Tu rimani qui, o ti perderai. Presto arriveranno altri invitati al banchetto, non sarai solo a lungo.
-Ok.
-Cosa significa?
-Che va bene!
-Tornerò prima del banchetto. Ad ogni modo, siederemo allo stesso tavolo.
-Come tuo ospite?
-Come ospite del re. A più tardi.
Uscì, lasciando Aleski solo e frastornato. Andò a sedersi su una delle panche, a disagio. Si guardò intorno con le mani strette sull'orlo del sedile e i piedi ben uniti. Emise un fischio che rimbombò nella sala, si spaventò. Un piccolo pugno sulla panca. Distese le gambe, allargò le braccia.
-Dal re. Dal re. Wow-. Una risatina nervosa, poi si alzò, si risedette.
-Al diavolo!- Gridò al vuoto, per il gusto di sentire la sua voce amplificata nel silenzio totale. Più che un giovane uomo sembrava solo un ragazzino impaurito che si fa beffe di ciò che lo preoccupa, per poi vergognarsene.
-Al diavolo, dici. Avete strani modi di imprecare da dove vieni.
-Chi è?- Esclamò Aleski scattando immediatamente in piedi, senza riuscire a cammuffare lo spavento nell'intonazione.
-Ci siamo già conosciuti, io e lei.-
La voce veniva da dietro la fontana. Con passi malfermi Aleski prese a girarci intorno, desideroso di dare un volto alla voce, che per ora rimaneva una sagoma indistinta nelle ombre della sala.
-Due mesi fa, al cancello. Non si ricorda del vostro salvatore, Lupus Aleski?-
Finalmente Aleski riuscì a scorgere l'uomo e nonostante il suo volto fosse in ombra gli sembrò di riconoscerlo.
-Il vostro nome... credo di ricordarlo... Darius...
-Gawain Darius Green, per servirla.-
Un bosco, un carro, un cancello, Ollerus che combatte con l'orco. Aleski sorrise.
-Due mesi fa non mi dava del lei.
-Due mesi fa non mi fidavo.
-Ora sì?
-Si fida il re, e io servo il re.
Aleski ponderò quest'ultima frase, poi disse:
-Mi scusi, mi aveva spaventato.
-Ho visto. Ma qui siamo al sicuro.-
Gawain Darius era un uomo abituato a comandare, quando decideva che una conversazione era finita, era finita. Così tornò a dedicarsi alla sua precedente occupazione come se nulla fosse. Stava riempiendo una brocca alla fontana, per poi versare l'acqua raccolta in piccoli canaletti incastonati nel pavimento, che si diramavano per tutta la sala a creare un'intricata geometria.
Aleski osservò affascinato il lavoro di Gawain Darius. Mano a mano che i canaletti si riempivano il pavimento diventava sempre più luccicante, per l'effetto della rifrazione della luce delle torce sull'acqua.
Il capitano Green era concentrato sul suo lavoro. Indossava una veste argentata, leggera e semplice, con una fascia di seta blu in vita. L'uomo in armatura che aveva conosciuto la prima volta sembrava quasi sparito, se non fosse stato per le cicatrici sul volto e una certa scintilla negli occhi che denunciavano la sua natura pericolosa.
Aleski tornò alla panca e si sedette ad osservare Gawain Darius, facendo però attenzione a che lui non se ne accorgesse, ma il capitano era un uomo addestrato ad essere costantemente vigile, e i suoi sforzi erano del tutto vani.
-La prego di ammirare gli affreschi della sala, sono di sicuro più interessanti.-
-Mi scusi, non volevo. Cosa rappresentano?
-Li osservi prima di fare domande.-
Ed Aleski osservò. Anzi da principio si limitò a guardare quelle forme sulle pareti, quei ritratti di sconosciuti. Ma piano piano capì ciò che stava vedendo: non erano forse legioni romane quelle? Non erano senatori in toga, capitelli, colonne e templi quegli altri? Ma c'erano anche popolazioni barbare vestite di pelle. E uomini che somigliavano ad Ollerus, con lineamenti decisi ma armoniosi come tanti ne aveva visti nel caer.
-La storia del nostro popolo.- Disse Gawain Darius, che si era affiancato ad Aleski talmente in silenzio che il giovane ebbe un sussulto al sentire la sua voce.
-Lì- continuò indicando la figura di un uomo con un mantello di pelliccia, dalla faccia torva e la barba fulva -lì c'è il capostipite del nostro popolo. Daf Nivar, il signore delle tempeste. Fu lui a guidare la migrazione quando gli dei hanno deciso di punirci.
-Cosa avevate fatto?
-Questa non è una storia che gradisco raccontare.
-Mi scusi, di nuovo.
Gawain Darius procedette lungo la parete, osservando le figure con sguardo indecifrabile.
-Daf Nivar portò il nostro popolo dalle lande del nord, che oggi non esistono più, fino a questo paese, il paese delle colline.
Sulla parete Aleski riconobbe il territorio ondulato nel quale si era perso poco tempo prima. Il popolo di Nivar, quello che aveva scambiato per vichinghi, si inerpicava lungo i declivi, uomini e donne disperati in cerca di una nuova casa.
-Chi sono quelli?- Chiese Aleski indicando altra gente in marcia che proveniva dalla parte opposta, vestiti con abiti senza dubbio romani.
-Loro abitavano qui prima di noi. I Latini, la stirpe di Romolo.-
Aleski si sentì mancare il fiato. -E cosa fanno?- Erano giunti alla parete centrale, dove era raffigurato Daf Nivar, alto e selvatico, stringere la mano ad un romano con la corazza dorata.
-Darius, colui che allora era re dei Latini, accolse il mio popolo allo sbando, ci diede una casa nelle Wavelands. Un atto di misericordia davvero intelligente. Noi avevamo un posto dove stare, loro un potente alleato.-
Difatti il resto delle pareti era occupato da battaglie, combattute con i due generali fianco a fianco nel comando.
-Io porto il nome di mio padre Gawain, e quello del re latino, Darius. Molta gente qui al caer ha nomi misti, per ricordare l'amicizia tra i nostri popoli.
-Perché non vedo romani in giro per il caer? Intendo, latini?
-I rapporti sono cambiati.
-Un altra storia da non raccontare?
-Non ora, almeno. Questa è la sala delle Origini. Qui si parla solo di argomenti puri, come l'acqua che scorre nei canali del pavimento.-
Lo sguardo di Gawain Darius si oscurò.
-Temo che sentiremo fin troppe storie tristi tra non molto, al banchetto.-
Aleski avrebbe voluto chiedere di più, ma proprio in quel momento iniziarono ad entrare i primi invitati, e ben presto la sala delle Origini fu gremita di gente. Gawain Darius si allontanò e sparì tra la folla.

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